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"Giuro che nessuno dei miei nemici riderà per avermi fatto soffrire. Saranno amare le loro nozze amara la loro parentela e l’esilio mio da questa terra"

Progetto / Performer // Vittoria Faro
Drammaturgia // Matilde D’Accardi/  Vittoria Faro
Sound Design / Voice On // Vittoria Faro
Voice Off // Vittoria Faro / Martino Duane
Visual Design // Antonio Pizzola
Costumi // Alfonsina Quintini 
Photo // Eleonora Faro Photographer
Produzione / Ufficio Stampa // TestaccioLab

Madre disperata, moglie tradita e ripudiata, esule da sé stessa e dalla sua terra. Il personaggio di Medea visto con gli occhi della contemporaneità incarna la disperazione di ogni donna ferita nell’estremo tentativo di sottrarsi a un destino avverso

Frutto della collaborazione tra la stessa Faro e la drammaturga Matilde D’Accardi, il testo è strutturato in quattro quadri preceduti da un prologo e attinge a molteplici fonti letterarie: l’Antico Testamento, il Vangelo delle streghe di Leland e La rechereche proustiana, oltre all’originale di Euripide.

Il risultato è una performance dall’intenso impatto psicologico che attualizza il mito greco enfatizzandone tormenti e passioni in un flusso unico di pensieri.

Spalle al pubblico,  Medea è in procinto di introdurci al dramma. Accovacciata, coperta da un velo nero, braccia aperte e capo chino. Il silenzio e l’apparente tranquillità, suscitate dal rumore del mare in sottofondo, sono in realtà la dolorosa cornice entro la quale si ambientano gli eventi. Pensieri e sentimenti di una donna straziata e ferita, sono presentati agli spettatori attraverso dei flashback narrativi in una dimensione tra l’onirico e il mistico. Negli occhi, il dolore e la disperazione di un disonore.

La prestazione della Faro è valorizzata da numerosi elementi artistici e scenografici, primo tra tutti quello prettamente musicale. Il silenzio, spesso presente, si alterna a melodie ed onomatopee primordiali, arcaiche, quasi meditative, nonché a campionature electro – ambient. Anche i voice off, realizzati insieme a Martino Duane, amplificano il pathos e la tensione emotiva con i quali l’attrice interagisce di continuo.

L’abbigliamento total black, molto d’effetto, sottolinea la metamorfosi di Medea nel suo essere donna, madre, strega e carnefice. Con puntamenti dal basso, giochi d’ombra e proiezioni suggestive deformano il contorno di persone e oggetti.

 

Come nel teatro antico, molta importanza viene data al corpo, in particolar modo al viso e alla maschera, enfatizzati anche dal trucco nero di occhi e labbra. La Faro, precisa nel controllo di mimica e movimento, sembra deformarsi assumendo pose che incarnano lo strazio e il tormento di Medea. Sgranando occhi e bocca, si contorce, cammina e danza sui ritmi ossessivi in un parallelismo storico – sociologico tra antichità e modernità.

 

Archetipo di una femminilità senza tempo, icona della contemporaneità, immortale nel dramma che conduce alla catarsi, la Medea di Vittoria Faro è l’emblema del coraggio e della passione: una donna come molte altre che, da sempre e per sempre, trova la forza di espiare le proprie colpe per non soccombere ad un destino avverso, la cui via di fuga è quasi sempre nel sacrificio estremo ed incondizionato.

Elena D’Elia

IN SCENA

18 agosto 2015:  

Debutto Valle dei Templi di Agrigento Tempio di Giunone

 

15 novembre 2015:

Premio Ignazio Buttitta 2015 – Sezione Teatro

18 marzo 2016

Riadattamento teatrale  Teatro Luigi Pirandello di Agrigento

28-29 Aprile 2016:  Rassegna Contemporaneo Sensibile 2016 al Museo Belmonte Riso di Palermo – Sala Kunelis 

 

18 maggio 2016:

Festival Inventaria 2016 - Sezione Performance – Teatro dell’Orologio – Roma

13 giugno 2016

Festival TEATRI DI PIETRA/ Malborghetto

 

19 luglio 2016

FESTIVAL Internazionale di Teatro Teatro Romano VOLTERRA 

Lulu Rouge- Fyrkat mp3

La performance si articola in 5 quadri scenici, le stazioni dolorose che prendono riferimento da uno studio de À la recherche du temps perdu di Marcel Proust, massima espressione letteraria dell’indagine sulla composizione del tempo e della rievocazione del passato, al fine di riuscire a fuggirne l’impietoso corso.

 

Riferimenti letterari:

Medea di Euripide, Seneca, GrillParzer, Alvaro; La Recerche, Marcel Proust; Sodoma e Gomorra, Antico Testamento;  Aradia, o il Vangelo delle Streghe, Charles Godfrey Leland

Una lunga e tormentata sequenza introduttiva ci presenta Medea rannicchiata per terra, divorata dai propri demoni e dalla consapevolezza dei delitti di cui si è macchiata per uno sposo che la sta abbandonando al proprio destino. La donna sembra cercare un’impossibile requie, e come in un sogno in cui la successione temporale si confonde, rivive quanto le è accaduto. Appare evidente come sia preda di un profondo conflitto interiore fra il dolore e la volontà di non soccombere ai propri aguzzini, il flusso di pensieri che la anima è reso in scena in modo molto interessante, con una serie di registrazioni e voci off, oltre alla recitazione diretta della Faro, che citano non solo il mito, ma anche brani del Vangelo delle Streghe e dell’Antico Testamento, in una confluenza di tradizioni che danno il peso dell’universalità del tema trattato. Completa il comparto sonoro una base molto varia, che spazia dal rumore della risacca alla musica tecno.
Sul piano visivo, l’influenza più marcatamente evidente è quella dell’espressionismo tedesco, con giochi di luce che proiettano lunghe e tetre ombre, enfatizzate dai colori – come il rosso che accompagna un’inquietante e al contempo sensuale danza, rito preparatorio del momento di maggiore tensione drammatica, ipnotico nel suo gioco fra i movimenti dell’attrice e la proiezione della sua ombra sulla parete alle sue spalle.
La Faro è ottima interprete delle turbe di Medea, gioca con l’espressività di un viso stilizzato dal trucco, con i movimenti del proprio corpo e di veli e indumenti che veste e sveste, dialoga interiormente con la propria voce, ora registrata, ora dal vivo.
Il risultato dello spettacolo lascia nello spettatore il giusto senso di disturbo che un personaggio complesso e tormentato come Medea può e deve suscitare, rimarcandone la conflittualità e i dualismi: il suo essere vittima e carnefice, lucida e folle, amorevole e spietata, costretta a rivivere gli istanti più drammatici della propria tragedia nella ricerca di una catarsi che è tanto la  sua meta agognata, quanto l’esito raggiunto dallo spettacolo per i propri spettatori.
Roberto Semprebene su Four Magazine
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